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Delitto a Palazzo Chigi
 


Il giorno successivo il Brigadiere Colella lo chiamò e gli disse che quella sera sarebbero usciti con la macchina di servizio per fare un appostamento.
 
Gigino ogni tanto usciva dalla caserma per andare in un bar a prendere un caffè e anche per telefonare ai suoi. Il bar era sempre frequentato da ragazzi e ragazze e spesso si riusciva anche a dialogare con loro e a scambiarsi opinioni, riguardante il calcio e il campionato. Era quasi sempre presente una ragazza bionda che non interveniva nelle discussioni ma, che ogni tanto lanciava uno sguardo, accennando un sorriso.
 
Rientrando in caserma il Brigadiere Colella avvertì Gigino che per le 22, sarebbero partiti per una destinazione sconosciuta. Così fecero, Gigino si mise al volante e il Brigadiere di fianco, arrivati presso un crocevia sulla Salaria, si accostarono nelle vicinanze di un antico palazzo e poi si fermarono. Ogni tanto la radio borbottava qualcosa ma, quando il Brigadiere sentiva il numero 117 seguito da alcune frasi, si allarmava.
Ad un certo punto Colella scende dall’auto e dice a Gigino di aspettare gli ordini. Il Brigadiere si avviò verso il portone di un palazzo e si nascose nelle vicinanze. Dopo un po’ uscì dal portone un signore che venne subito fermato dal Colella. A questo punto il Brigadiere fa segno di avvicinarsi con l’auto e Gigino, innestò la marcia, si diresse verso il portone, ma all’improvviso, quel signore tentò di scappare, Gigino corse verso l’indagato e con violenza, lo scaraventò a terra. Subito il Brigadiere gli agganciò le manette e lo spinse verso l’auto, Gigino lo appoggiò sulla portiera e incominciò a perquisirlo.
 
Dalle tasche uscirono soldi, e tanti piccoli involucri che con molta probabilità contenevano cocaina. Subito dopo, a sirena spianata, ritornarono in caserma e il Brigadiere in attesa del Maresciallo, incominciò l’interrogatorio. Questo era un caso affidatogli dal Maresciallo e quindi, per farsi fare i complimenti, venne inviato il Piantone a svegliarlo, il Maresciallo arrivò in pigiama e si sedette dietro la scrivania. Nella realtà questo caso era sfuggito di mano al reparto antidroga, per cui questa sarebbe stata una vittoria di tutta la caserma nei confronti del pull antidroga. Alla fine dell’interrogatorio, venne comandato a Gigino: “Portalo in cella e poi gli togli le manette!”.
Nello scendere le scale, il malvivente incominciò a ridere e Gigino disse: “Falla finita o ti lascio ammanettato anche in cella”. Entrato in cella l’arrestato disse: “Non sei stato bravo a perquisirmi! Guarda cose mi è rimasto nelle mutande!” Togliendo la mano dallo slip, fece vedere un’altra bustina; Gigino subito gli afferrò la mano e gli sottrasse la bustina, nel chiudere la cella il fermato disse: “Ricordati di me! Io non sono un delinquente, ma un professionista…” Nel salire le scale delle celle di sicurezza, Gigino era combattuto se riferire del fatto, oppure tacere. Arrivato in ufficio il maresciallo gli disse: “Tutto a posto?” e Gigino rispose con un OK. Purtroppo la bustina restò in tasca e poi finì confinata nel suo armadietto. Il giorno successivo, in compagnia di altri colleghi, portarono l’imputato dal giudice e dopo le dichiarazioni del suo avvocato, l’arrestato venne accompagnato in carcere e nel rilasciarlo alle guardie carcerarie, i due si dettero uno sguardo di sfida e di rispetto.
Gigino si è sempre domandato il significato di quello sguardo, forse era una minaccia, oppure una proposta di cooperazione, fatto sta che si sentiva preoccupato e nello stesso tempo ansioso.
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