Paese mio
Tutto ciò mi fa pensare ad una vecchia canzone popolare:
“O mammi e patri, come nun penzati a sti
mali matrimoni chi faciti?
Maritati 'sti rose spampinate
e li dati 'sti babbani di mariti.
Criditi ca su' pezzi chi 'ngnimati viditi ca nun vani bboni e Ii scusiti?
Chisti su' cosi ppi l'eternitati
ni ciancini la sciorta e pure la vita!”
(O mamme o padri, come è possibile non meditiate
sui cattivi matrimoni che combinate?
Fate maritare queste rose sfiorite
e le offrite a questi mariti babbei.
Credete forse che si tratti di stoffe che imbastite
e che poi scucite,
se vedete che non vanno bene?
Queste sono invece cose per l'eternità:
ne possono piangere il destino e anche la vita.)
I ragazzi che finalmente riuscivano a fidanzarsi, la sera si recavano di prassi a casa della fidanzata. Purtroppo i colloqui si svolgevano con gli altri componenti della famiglia e vertevano sui più disparati fatti della giornata: il raccolto magro, i capricci della stagione, il duro lavoro dei campi, il freddo dell'inverno, il sole infuocato dell'estate.
I discorsi potevano riguardare anche l'imminente covata della chioccia che da tanti giorni stava al caldo sotto il letto o la rigovernatura del maiale che veniva lasciato a ingrassare nel porcile.
La promessa sposa non era legittimata a intervenire in questi discorsi riservati agli uomini e di tanto in tanto un lungo sospiro triste o uno sguardo furtivo, confermava l'esistenza di una trama amorevole. Non mancavano tuttavia talune espressioni rituali della comunicazione amorosa, come la serenata.
La promessa sposa non era legittimata a intervenire in questi discorsi riservati agli uomini e di tanto in tanto un lungo sospiro triste o uno sguardo furtivo, confermava l'esistenza di una trama amorevole. Non mancavano tuttavia talune espressioni rituali della comunicazione amorosa, come la serenata.
Nell’aria si sentivano
chiare le parole della serenata:
“Lu sonnu di la notti m’arrubasti
ti lu purtasti a dormiri cu tia
bedda chi mi facisti magaria
affacciati a sta finestra vita mia…”
(Il sonno della
notte mi rubasti
e te lo portasti a
dormire con te
bella tu mi feci una
magia
affacciati alla
finestra vita mia…)
Le serenate che di notte, nei vicoli bui del paese, servivano
a trasmettere messaggi di ogni tipo: si trattava della vera e propria
dichiarazione d'amore, o era la manifestazione del “dispetto” da parte dell'innamorato
respinto o il grido di “disperazione” del giovane spasimante che si sentiva
ingiustamente trascurato.
Per fare una serenata occorreva di norma la presenza
dell'innamorato committente, del solista, che prestava la voce, di una
chitarra “battente” e talvolta dello “zucu zucu”, che era uno strumento di
accompagnamento da porre tra la batteria e il contrabbasso.
Poteva accadere anche che nel bel mezzo della serenata, la
finestra o il balcone della donna corteggiata si spalancasse bruscamente nella notte
e un lancio di “pitali” costringeva a una fuga ingloriosa i malcapitati
stornellatori.
Volevo ringraziare i numerosi lettori che mi seguono regolarmente, avrei piacere di dialogare con loro, per cui chi vuole può contattarmi mediante il sito, all’indirizzo:
Grazie per l’attenzione
Arcangelo Rizzuti