paese6 - rizzuti.it

Sito multilingua
Vai ai contenuti
<- menù

Paese mio


Tutto ciò mi fa pensare ad una vecchia canzone popolare:
 
 
 
“O mammi e patri, come nun penzati a sti
 
mali matrimoni chi faciti?
 
Maritati 'sti rose spampinate
 
e li dati 'sti babbani di mariti.
 
Criditi ca su' pezzi chi 'ngnimati viditi ca nun vani bboni e Ii scusiti?
 
Chisti su' cosi ppi l'eternitati
 
ni ciancini la sciorta e pure la vita!”
 
 
(O mamme o padri, come è possibile non meditiate
 
sui cattivi matrimoni che combinate?
 
Fate maritare queste rose sfiorite
 
e le offrite a questi mariti babbei.
 
Credete forse che si tratti di stoffe che imbastite
 
e che poi scucite,
 
se vedete che non vanno bene?
 
Queste sono invece cose per l'eternità:
 
ne possono piangere il destino e anche la vita.)
I ragazzi che finalmente riuscivano a fidanzarsi, la sera si recavano di prassi a casa della fidanzata. Purtroppo i colloqui si svolgevano con gli altri componenti della famiglia e vertevano sui più disparati fatti della giornata: il raccolto magro, i capricci della stagione, il du­ro lavoro dei campi, il freddo dell'inverno, il sole infuocato dell'estate.
I discorsi potevano riguardare anche l'imminente covata della chioccia che da tanti giorni stava al caldo sotto il letto o la rigovernatura del maiale che veniva lasciato a ingrassare nel porcile.
La promessa sposa non era legittimata a intervenire in questi discorsi riservati agli uomini e di tanto in tanto un lungo sospiro triste o uno sguardo furtivo, confermava l'esistenza di una trama amorevole. Non mancavano tuttavia talune espressioni rituali della comunicazione amo­rosa, come la serenata.
Nell’aria si sentivano chiare le parole della serenata:
“Lu sonnu di la notti m’arrubasti
ti lu purtasti a dormiri cu tia
bedda chi mi facisti magaria
affacciati a sta finestra vita mia…”
(Il sonno della notte mi rubasti
e te lo portasti a dormire con te
bella tu mi feci una magia
affacciati alla finestra vita mia…)
  
Le serenate che di notte, nei vicoli bui del paese, servi­vano a trasmettere messaggi di ogni tipo: si trattava della vera e pro­pria dichiarazione d'amore, o era la manifestazione del “dispetto” da parte dell'innamorato respinto o il grido di “disperazione” del giova­ne spasimante che si sentiva ingiustamente trascurato.
Per fare una serenata occorreva di norma la presenza dell'innamora­to committente, del solista, che prestava la voce, di una chitarra “battente” e talvolta dello “zucu zucu”, che era uno strumento di accompagnamento da porre tra la batteria e il contrabbasso.
Poteva accadere anche che nel bel mezzo della serenata, la finestra o il balcone della donna corteggiata si spalancasse bruscamente nella notte e un lancio di “pitali” costringeva a una fuga ingloriosa i malcapitati stornellatori.

Volevo ringraziare i numerosi lettori che mi seguono regolarmente, avrei piacere di dialogare con loro, per cui chi vuole può contattarmi mediante il sito, all’indirizzo:
   
Grazie per l’attenzione
 
Arcangelo Rizzuti
Torna ai contenuti