Delitto a Palazzo Chigi
I giorni passarono in fretta, arrivò ottobre e il postino consegnò a Gigino una raccomandata riguardante l’ammissione al concorso per Carabiniere. La data era particolarmente fatale, il Due di novembre, e la sede, presso la Scuola Carabinieri di Roma.
Così Gigino preparò la valigia e partì in tempo per affrontare il concorso; era sereno e pieno di speranza, voleva riscattarsi e dimostrare finalmente le sue capacità. Arrivato presso la Scuola Carabinieri, dopo aver consegnato la documentazione, gli venne assegnato un armadietto e un posto branda e il lunedì incominciarono subito le prove. A fine settimana gli consegnarono un documento delle Ferrovie dello Stato, per poter affrontare il viaggio di ritorno a casa.
A dicembre arrivò dal Comando C.C. la comunicazione riguardante l’ammissione al corso presso la Scuola Carabinieri di Roma. Così a gennaio Gigino incominciò subito l’addestramento.
Al termine del corso venne stabilito la data del Giuramento che Gigino prontamente riferì al padre, il quale con orgoglio rispose: “Sarò a Roma con tua madre e quel giorno in tuo onore, sarò presente in uniforme!”.
In una bellissima giornata di
primavera, il Maresciallo e sua moglie si presentarono presso la Scuola
Carabinieri e si accomodarono nella tribuna d’onore. Incominciò la sfilata e il
Maresciallo indicò a sua moglie la postazione del figlio, al momento del
giuramento i genitori emozionati, si abbracciarono. Terminata la cerimonia
Gigino andò incontro ai genitori e qui… complimenti, abbracci e lacrime; decisero
quindi di andare a pranzo in una trattoria lì vicino e infine si salutarono con
l’augurio di rivedersi al più presto. Successivamente Gigino venne inviato in
servizio presso la caserma di Roma di via Vigese e il primo giorno lo accolse
il Maresciallo Gallini che leggendo le sue credenziali gli fa subito una
domanda: “Ragazzo tu hai un cognome che mi dice qualcosa, conosci per caso il
Maresciallo Rosarno?”. Gigino con orgoglio rispose: “Si è mio padre”. Il Gallini
fece subito presente che erano stati compagni di corso e che lo aveva sentito
anche di recente per un indagine particolare. “Bravo ragazzo, tuo padre è stato
uno dei migliori del corso per Marescialli, aveva un buon fiuto e con le
indagini ci sapeva fare; quindi mi aspetto altrettanto da te.”
Purtroppo il lavoro
incominciò subito e già il secondo giorno, accompagnato dall’appuntato Giglio iniziò
a pattugliare il territorio. Giglio che era di origine napoletana, lo divertiva
con i suoi racconti e barzellette in dialetto; ma quando si fermavano per fare
delle identificazioni, diventava subito serio e deciso. Una sera incontrarono
due brutti ceffi, i quali sospettosi incominciarono a correre. Giglio riuscì ad
acciuffarne uno, mentre Gigino correndo, scaraventò a terra l’altro e siccome
si agitava, gli salì sul dorso, afferrandogli il collo e mettendogli le manette.
Li portarono subito in caserma e li rinchiusero nelle celle di sicurezza.
Subito dopo Giglio disse a Gigino: “Non farlo più! Noi siamo dei Carabinieri e
non abbiamo il diritto di torturare la gente! Sei stato molto violento!”.
Passarono i giorni e una sera
con lo stesso collega percorrendo il Lungo Tevere, furono attratti da due
ragazze che, seduti su di un muretto, si dondolavano facendo vedere gambe e
sedere. L’Appuntato rivolgendosi a Gigino disse:” Eccole là! Quelle fanno
marchette!”. Si avvicinarono alle ragazze e chiesero loro cosa facessero. Una
disse che prendeva il fresco e l’altra rivolgendosi a Gigino disse: “Perché mi
guardi le zinne? Li vuoi toccà!”. Era una bella ragazza e Gigino cadde nel
tranello, allungò una mano e la toccò. Giglio vedendo l’azione, tirò dalla
giacca Gigino e si allontanarono verso il marciapiede opposto. L’Appuntato
perse la pazienza e disse: “Quante volte ti devo dire, che prima di agire, devi
contare fino a tre! Comunque da domani non uscirai più con me! Dirò al
maresciallo di cambiarmi di turno, perché con te non mi sento più a mio agio.”