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ATMOSFERE VISSUTE ?

Profumo di Pane

“Gnura Rosì, la mamma vuole sapere a che ora è pronto il forno”.
La gnura un po’ sorda risponde “ aa sii! Alle otto quando suona la sirena”.
Di corsa ritornando a casa, per riferire e già mi prefiguravo una sbornia di odori e sapori.
L’operazione “panificazione”, iniziava la sera precedente quando si mescolava il lievito madre alla farina e all’acqua. L’impasto era un’attività piena di mistero, si mescolava il tutto dentro una madia con molta fatica, condite di giaculatorie incomprensibili che, dovevano favorire la lievitazione.  

Il linguaggio usato andava al di là del dialetto e riconduceva ad alcuni riti della magna Grecia dove si chiedeva l’intercessione degli Dei nella lavorazione del pane. I greci segnavano il pane con incisioni diverse, invocando l'aiuto della loro dea Demetra, nei nostri borghi s’invocava invece San Antonio.
 Il pane è stato ed è il sigillo della cultura, spesso al centro di dispute sanguinose e guerre per procacciarsi il cibo, ma anche lunghe controversie sul pane lievitato, oppure azzimo da usare per la comunione durante il rito eucaristico.
 Nelle nostre famiglie s’impastava la sera prima e si lasciava riposare il pastone nella madia fino al mattino, di seguito s’incideva una croce sull’impasto ormai pronto e si recitavano
un’Ave, un Pater e un Gloria.
 La mamma prima d’iniziare ad impastare, affidava sempre il suo lavoro alla fede, sperando di essere ricambiata con una benedizione dal cielo e faceva il segno di croce prima di iniziare l'impasto.
 Le donne durante il loro ciclo mestruale, non potevano impastare e se lo avessero fatto, il pane poteva subire un’eccessiva e rapida lievitazione che non favoriva poi la giusta cottura.

Bisogna ricordare che per fare il pane ci vuole l’aria per innescare la fermentazione, le mani per amalgamare gli ingredienti, l’acqua, il fuoco per cuocere e soprattutto ci vuole tempo perché maggiore è il tempo di lievitazione, migliore e più digeribile sarà il pane.
 Il pane coinvolge in questo modo tutti i sensi: si impasta con le mani, si assapora con la bocca, si annusa durante la cottura.
Mi ricordo che mentre s’impastava, la casa come da un miracolo, era avvolta dal profumo della lievitazione e si andava a dormire solo per poche ore.
Quando la mamma aveva notizie dell’orario dell’infornata, si chiamava la Signora Immacolata, che le dava una mano nel formare le pagnotte, le pitte e i taralli.
 Alle otto in punto tutti questi elementi venivano trasportati al forno, mediante delle tavole rettangolari e coperti con un lenzuolo bianchissimo.
 Arrivati al forno, la Gnura Rosina li faceva adagiare vicino alla bocca del forno e per ingannare l’attesa, le donne iniziavano a chiacchierare raccontandosi sempre nuove ricette.
 Nel periodo Pasquale oltre al pane erano preparate delle grosse trecce a forma di ciambella, al cui interno veniva sistemato un uovo sodo in segno di fertilità e dolci di pasta frolla, a forma di bambole, avevano un uovo al posto della testa.


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