18° episodio - rizzuti.it

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A NATALE FRIJRI I GUAJUNI


Passò un anno.
A luglio Saverio, dopo aver sostenuto con successo l’ultimo esame, decise di fare una sorpresa ai suoi famigliari e ritornò al suo paesello con il Treno del Sole. La sua abitazione era posta nella parte alta del paese, mentre la stazione si trovava vicino al mare; quindi dovette fare un bel tratto a piedi e in salita. Durante il percorso gli tornarono in mente i ricordi di quando era un ragazzo, le sue avventure e le scoperte che lo fecero maturare.
Passò davanti alle botteghe dei vasai che erano concentrate in un rione chiamato “Vucalari”.
Qui la creta veniva impastata con molta acqua e poi calpestata con i piedi, per renderla plasmabile. La creta dopo veniva foggiata col tornio azionato con i piedi e le mani esperte del vasaio davano forma a recipienti di terracotta, i “vucali”. Questi oggetti venivano esposti al sole ad asciugare e poi cotti nella fornace. Saverio si ricorda che da piccolo durante l’estate veniva mandato come apprendista dal “mastru vucalaru” e realizzava dei piccoli vasi di terracotta, chiamati “ rasticeddi” .

Erano passati molti anni, ma arrivato nelle vicinanze della ripida salita, lo colpì un altro vivido ricordo: quando da bambino, con il suo amico d’infanzia, costruirono un piccolo carretto con quattro ruote e un manubrio che serviva a lanciarsi in quella discesa, per sfidare se stessi e sentire il brivido che faceva battere fortemente il cuore.

Verso la fine della salita trovò la bottega del fabbro che conosceva bene, perché è lì che fece le prime esperienze con la chimica.Aveva letto da qualche parte come fabbricare un “botto” con un semplice procedimento.
Si prendeva un barattolo e del carburo che rubacchiavano dalla bottega del fabbro. Si faceva una buca a terra, vi si versava un po’ d’acqua e quindi il carburo, infine si inseriva in un barattolo, al quale si era praticato un forellino, e dopo si chiudeva la buca; il carburo a contatto con l’acqua sublimava e liberava acetilene. Così si produceva nel barattolo una specie di camera a scoppio che produceva una reazione chimica. Avvicinando una miccia accesa al foro del barattolo, dopo un po’ avveniva uno scoppio, che faceva spaventare tutto il vicinato, compreso il fabbro. Che risate!

Saverio ormai, tutto sudato, arrivò finalmente a casa, bussò e venne accolto dalla madre Caterina che incredula lo strinse piangendo e chiamò con gran foga il marito Peppe, che con occhi sgranati corse da lui gridando a gran voce:
"Figghiu mio!"








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