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Paese mio


Gli stornellatori si allenavano con i loro strumenti nella bottega del barbiere Mastro Vincenzo e quando a sera si passava dalle vicinanze, si potevano ascoltare canzoni tipo:
 
I' Te Vurria Vasa' famosa canzone napoletana!

 
 
“Ah! Che bell'aria fresca...
Ch'addore 'e malvarosa...
E tu durmenno staje,
'ncopp'a sti ffronne 'e rosa!
'O sole, a poco a poco,
pe' stu ciardino sponta...
'o viento passa e vasa
stu ricciulillo 'nfronte!”
 
 
A questo punto gli spettatori che stavano lì vicino rispondevano in coro:

 
“I' te vurría vasá...
I' te vurría vasá...
ma 'o core nun mm''o ddice
'e te scetá...
'e te scetá!...
I' mme vurría addurmí...
I' mme vurría addurmí...
vicino ô sciato tujo,
n'ora pur'i'...
n'ora pur'i'!...”
 
 
Infine il tutto terminava con un lungo applauso e la richiesta di un bis.
Il "salone" del barbiere era un vero e proprio luogo di contatto sociale in cui si stringevano rapporti, affari e si scambiavano chiacchiere e confidenze. Siccome i gestori erano particolarmente interessati a conservarsi la clientela, a fine anno regalava piccoli calendari a forma di libretto da conservare nel portafoglio. Essendo per la maggior parte destinati a un pubblico maschile, una presenza costante era quella delle "donnine", dapprima come fatto esclusivamente decorativo e successivamente anche erotico.
Un'altra bottega molto frequentata era quella del sarto. Un’attività a carattere artigianale, basato sulla manualità e assai antico. Di fatto il sarto era un “professionista” dotato di grande sensibilità e gusto, in grado di realizzare un abito, in tutti i suoi passaggi: dal modello al taglio della stoffa, dalle misurazioni e correzioni, alla cucitura, alla rifinitura e alla stiratura. Per svolgere adeguatamente e compiutamente questa professione artigiana, era richiesta una lunga preparazione che si acquisiva prevalentemente sul “campo”, iniziando come apprendista (discepolo) in una sartoria. L’attività preparatoria del sarto consisteva nel consigliare il cliente sul capo adatto, alle sue misure e al tessuto più idoneo.
 
Lavorava poi sul taglio, nelle cuciture e nell’assembramento dei vari elementi della confezione, con competenza, tanta pazienza e precisione. Un abito da uomo fatto “a mano”, richiedeva quasi 4 giornate di lavoro; la stoffa era fornita direttamente dai clienti che l’acquistavano nei pochi e rari negozi di tessuti o anche dai venditori ambulanti durante mercati e fiere stagionali.

Volevo ringraziare i numerosi lettori che mi seguono regolarmente, avrei piacere di dialogare con loro, per cui chi vuole può contattarmi mediante il sito, all’indirizzo:
   
Grazie per l’attenzione
 
Arcangelo Rizzuti
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